LA STANZA PER SÉ
Un armadio, un letto, un tavolo. Bambole in ogni dove. Tutto è pronto per una puntata speciale di un seguitissimo show televisivo. La puntata di stasera si chiamerà “La stanza per sé”. Ella, Viviana ed Elena, dopo mesi passati a stare “di là”, sono state invitate come ospiti della puntata. A condurre la serata c'è Enza Biagio, che, come un dio fuori dal tempo e dallo spazio, dirige il processo e guida il pubblico chiamato a scegliere a che tipo di dolore assistere. Tutte e tre le protagoniste hanno in modi differenti subito una violenza e stasera sono qui per sensibilizzare l'audience e soprattutto per completare un percorso di cura che le farà smettere di essere vittime. Così gli è stato promesso. Le loro storie raccontate, anzi, rivissute, in diretta. Il loro dolore in mondovisione. Se stanno al gioco guariranno per sempre, se interrompono il processo torneranno indietro, da dove sono arrivate. Si tornerà indietro o si andrà avanti? Si tornerà alla verità, dopo questa finzione?
NOTE DI REGIA
Come si interpreta il dolore degli altri? Si può? È corretto? Questa è la domanda che il gruppo di lavoro si è posto prima di cominciare a lavorare. Il testo è nato in seguito ad un laboratorio teatrale condotto dall'Associazione B-LAterale con le ospiti della Casa di Accoglienza Cooperativa Quadrifoglio a Santa Margherita di Belice (AG). Durante il laboratorio le partecipanti hanno, attraverso giochi ed esercizi, messo in moto il loro mondo interiore, per tentare di arrivare ad un modo diverso di raccontare e rivivere il proprio vissuto e le proprie emozioni. Diverso dal modo “asettico” a cui sono abituate quotidianamente, sedute sulla sedia dello psicologo. Un laboratorio di questo genere non ha l'obiettivo di far superare il dolore, anche perché questo non sarebbe possibile. Ha, anzi tenta di avere, il fine di far capire che il cambiamento parte da sé stessi, da come ci si vede e da come ci si reinventa. Da qui la nostra domanda e riflessione: essere definite “vittime” è una condizione d'essere o lo si è in quanto definite tali dagli altri, dall'occhio esterno? Il circolo dell'essere vittima di qualcosa non si spezzerà mai se noi non cominceremo a vederci diversi e se gli altri non smetteranno di fare del nostro dolore un nostro tratto caratteristico. Io non sono il mio dolore.
Da sempre, ma soprattutto con l'incremento mediatico, il dolore è più che mai protagonista delle nostre vite. Lo cerchiamo, lo raccontiamo, lo mettiamo in mostra, in mondovisione, appunto, spettacolarizzandolo. Quante trasmissioni televisive hanno come fulcro unico e solo il dolore? Che è sempre degli altri però. Non è mai il mio. E se non è il mio allora me ne posso distaccare e cosa peggiore di tutte, lo posso giudicare. Ed è per questo che sono innocente? Il carnefice è solo chi impugna l'arma o sferra il colpo? O sono anche io che sto semplicemente a guardare, sentendomi esente da ogni colpa? Nessuno è innocente. Siamo tutti vittime, tutti carnefici. È per questo che le storie delle donne da noi incontrate attraversano il testo ma non sono riportate come in una qualsiasi asettica testimonianza. Non è una raccolta di testimonianze, non abbiamo mai chiesto loro di raccontarci le loro storie, così come non è una ricostruzione dei fatti. Non faremmo altro che fare esattamente ciò che critichiamo. Le attrici hanno lavorato sul distacco, sul “dire” le parole di questi personaggi, che potrebbero essere le funzioni di chiunque abbia vissuto un dolore, con qualsiasi nome, in qualsiasi parte del mondo. L'obiettivo non è strappare la lacrima al pubblico ma far riflettere su da che parte si sta o meglio, si pensa di stare. Dove pende l'ago della bilancia. E la figura di Enza Biagio è puramente dissacrante, un personaggio che sta sul filo del rasoio, fra la simpatia e il viscido, l'orrido, il grottesco, ne sei attratto e allo stesso tempo ti infastidisce e ti disgusta. Questo proprio per non mettersi dalla parte del politically correct, delle anime pure che compatiscono il dolore degli altri, ma per mettere in scena entrambi i lati della medaglia. Così da riconoscere da che parte stare, o quanto meno credere di farlo. In scena, nello studio televisivo, tre elementi caratteristici delle tre ospiti della serata, chiave dei loro racconti, ambientazione unica di quei momenti delle loro vite: un armadio, un tavolo, un letto. Attorno alle tre figure femminili una “foresta” di bambole, che come specchi osservano e allo stesso tempo riflettono ciò che accade in scena. Nell'immaginario comune le bambole sono corpi e facce senza vita, simbolo di infanzia ma anche di sottomissione. Ci giochiamo, le usiamo e le usuriamo senza accorgerci che il confine tra essere umano e diventare oggetto è veramente labile.
CREDITI
DRAMMATURGIA DELIA ODDO
REGIA ROBERTO MULIA
DISEGNO LUCI GABRIELLA ZITO
CON DELIA ODDO, ISABELLA LUNA SCIORTINO, SALVATORE VENTURA, GABRIELLA ZITO
CO PRODUZIONE B-LATERALE - TEATRO COMUNALE L'IDEA SAMBUCA DI SICILIA - COOPERATIVA SOCIALE QUADRIFOGLIO SANTA MARGHERITA BELICE
TEATRO COMUNALE L'IDEA - SAMBUCA DI SICILIA